LA FORMA DELL'ACQUA


Cosa c'è in quest'acqua, contenuta, arginata, governata, racchiusa in una piscina che tanto affascina Guadagnino? E' la sua inafferrabilità, la fluidità, il suo essere libertà per eccellenza, ma per paradosso così castrata ed obbligata a prendere una forma? Questo costringere tra quattro pareti lisce, senza soluzione di fuga se non a sprazzi, a schizzi, che è metafora dell'immergersi nel proprio io per poi annegare nella costrizione delle convenzioni?

E’ lo stesso soggetto, questa ossessiva piscina, che è la dominante dell’opera del versatile pittore britannico David Hockney, icona dell'arte contemporanea diventato protagonista assoluto di un film documentario in uscita proprio in questi giorni, e faro concettuale dichiarato per immagini e contenuti di un Guadagnino in inaspettata e sorprendente crescita autoriale.
                      




La piscina, come topos, ma anche elemento concretamente comprimario che si fa tragicamente dirimente nel per troppi versi disastroso “Io Sono l'amore”, addirittura protagonista sempre con connotazione e ruolo infausto nel remake, appunto, de “La Piscina”, “A bigger splash” (titolo che cita un'opera, non a caso, proprio di Hockney), in “Chiamami col tuo nome” è ancora co-protagonista, alveo naturale che accoglie i turbamenti di Elio ed Oliver. Ed è appunto un tuffo, un grande splash, anzi, il più grande tentato da Guadagnino questo addentrarsi nel romanzo di Andrè Aciman, così come è ardito e profondo in termini di portata e conseguenze il tuffo che Elio ed Oliver compiono nel venirsi incontro l'un l'altro. In questo senso la bella illustrazione che troneggia in copertina nella edizione italiana del libro edito da Guanda è evocativa e bastante a se stessa per definire l'anima del racconto,  
una dichiarazione di intenti, un'esca narrativa potente che ci presenta con sintesi perfetta la centralità del tema allegorico della piscina e al contempo quale sia la relazione che si innesca tra i due protagonisti, questa sorta di rapporto identitario matematico, di dualismo simbiotico e simbolico.




Come Narciso ama se stesso e la propria immagine e la scruta per ammirarla e possederla, così si studiano e tuffano l'uno nell'altro Elio ed Oliver. E' un tuffo il loro che perturba uno specchio d'acqua piatto ed immobile dinamizzandolo e dandogli nuova forma in cerchi concentrici come quelli di un bersaglio, come se l'unico vero obiettivo fosse ritrovare se stessi nel volto di un altro: riflettiti in me ed amami come te stesso. Come nei giochi da bambini, specchio riflesso: chiamami col tuo nome ed io ti chiamerò col mio.


La loro relazione, rotti quegli argini duri a sgretolarsi, si esprime nella più assoluta fluidità, in senso lato, di genere, di sentimento, dello scorrere del tempo; come l'acqua che è così fluida per sua natura e trova scontro inevitabile nel suo infrangersi contro i letti naturali o artificiali che la costringono e la dominano, cosi si frenano, si castrano, rientrano nei ranghi Elio ed Oliver, dopo aver lasciato tracimare il proprio io in modo inatteso, ed in un luogo così imperturbato ed apparentemente inadeguato ad accoglierli.
Se c'è infatti qualcosa che stride profondamente nel calare una storia così semplice, ma così complessa in una piccola realtà arcaica e tradizionale è proprio l'elemento avulso ed esotico di un progressismo estremo, quasi disorientante, anacronistico anche ai giorno nostri. Da lì quel bisogno spasmodico di Guadagnino di riportare costantemente al luogo ed al tempo, puntualizzando ritmicamente l'ambientazione italiana di un certo specifico scenario che è luogo e non luogo insieme: la nota dell'autore in incipit canzona con un vago “Da qualche parte nel nord Italia” per poi venire subito smascherata con costanti riferimenti geografici ben precisi e puntualizzati da lezioni di storia recente (i riferimenti all’epoca craxiana in cui la vicenda si svolge, il retaggio fascista, il rimando alla Grande Guerra ed ai suoi caduti…). Il fascino discreto, ma anche sfacciato di una borghesia aliena, sofisticata confinato nella campagna lombarda di antichi anni ’80, così simile a quella comune di artisti della bucolica toscana anni '90 del dichiaratamente e sfacciatamente citato bertolucciano “Io Ballo da Sola”.


E questo costringere, contenere, racchiudere il racconto tra le claustrofobiche e metaforiche 4 mura di uno specifico scorcio di provincia assomiglia a quel “vorrei ma non posso” che è dell’acqua che tracima fuori dall’alveo artificiale della piscina. Paradossalmente però solo in questa realtà lontana dalle ben più emancipate metropoli in cui Elio ed Oliver presumibilmente vivono, riescono ad esprimere in modo totale, se pur fugace, il proprio io, come contagiati da una genuinità effettivamente mai giudicante e ben più accogliente di quanto non si possa immaginare.
Ed il lago, le piccole fonti, i torrenti, che costellano il territorio del loro incontro, che sia il piccolo e gelido stagno che per Elio è “luogo solo mio” che decide di condividere con Oliver, o il possente Lago Maggiore, sono in realtà lo scenario metaforico più evocativo e naturale per questa espressione profonda del se'. L'acqua assume, lo dicevamo, svincolata dalla forma obbligata e dal contenimento che l'elemento umano o naturale le riservano, caratteristica di luogo dell'affermazione dell'io, momento di estrema libertà, ma è un sollievo effimero e destinato ad auto-censurarsi, ci ricorda Guadagnino attraverso le azioni e le parole del padre di Elio che inaspettatamente si immerge con i due nelle acque del Maggiore svelando in metafora un suo aspetto inedito, ma soprattutto alla luce del suo monologo conclusivo (un esercizio retorico un po' troppo manierista) che è rivelazione e al tempo stesso amara consapevolezza.


Quel lago è stato acqua impetuosa ma ha dovuto arginarsi per continuare ad esistere, assecondare le convenzioni sociali ed abbandonare la propria, è proprio il caso di dirlo” liquidità. C'è un pessimismo intrinseco nella lezione di Guadagnino ed in quella di questo padre: se ci si tuffa nelle profondità della propria anima, se si va a fondo dei propri desideri, il riemergere è nostro malgrado necessario. L'immobile fissità dell'acqua va ricostituita. Così come tutto scorre anche l'acqua deve rientrare nei suoi argini convenzionali, salvo riapparire sporadica come ricordo, trasformata, in altra forma. Da qui la conclusione perfetta: l'acqua che congela e diventa patina che conserva e cristallizza, che rimane fuori, che si fa neve e ghiaccio mentre dentro un camino che è fuoco ardente illumina in un lunghissimo piano sequenza da camera fissa, il volto piangente di Elio.







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