FLIGHT



In un'Italia che ancora aspetta di vedere condotto alle patrie galere il proprio "Own Personal Schettino", una pellicola come Flight sembra un balsamo per disillusi dalla giustizia terrena. Poco importa se Whip, un Denzel Washington in grande spolvero e tasso alcolemico alle stelle, in confronto al nostro "eroe" sembra un'educanda. Poco importa ad un italiano che ha ancora negli occhi le immagini paradossali di una citta' galleggiante che cola a picco in diretta tv, che questi sia imbottito di tutto il bevibile e lo sniffabile, mentre il nostro fosse perlopiu' drogato di boria e di superficialita' e probabilmente distratto da quell'oscuro oggetto del desiderio che proverbialmente tira piu' di un carro di buoi. Per lo meno nessuno al buon vecchio Whip ha dovuto intimare di tornare a bordo, cazzo (op. Cit).

La sua repentina presa di coscienza, la sua capacità di reazione curano quel disagio da ammutinamento che questo paese da un anno a questa parte si porta addosso. E che un fallito abbia una coscienza, che questa possa rimordergli fino a trascinarlo sempre più a fondo nel suo vizio e nella sua debolezza, quasi da' sollievo e speranza. Whip si interroga, si tormenta, si isola, prova a reagire, poi risprofonda nel baratro cercando di farlo in compagnia dell'emarginata della porta accanto, e, una volta toccato il fondo scava. Scava così tanto da divenire una macchietta, l'ombra di quel che un comandante dovrebbe essere nell'immaginario collettivo.

Fino a qui poco da eccepire, o quasi. Più che altro peccati veniali quelli di Zemeckis, quasi trascurabili, come la caduta in una serie di vetusti cliché legati alla costruzione dei personaggi e qualche maldestra critica mal riuscita a certo fanatismo religioso molto USA.

Ma e' sul finale che scivola poderoso sulla più insidiosa e macroscopica delle bucce di banana, gettando alle ortiche 90 minuti di discreto film e sacrificando gli ultimi 30 minuti sull'altare di un buonismo  american style. La strizzata d'occhio alla Cohen di un solito John Goodman nel ruolo più John Goodman che ci sia, fa da goffa apripista al deragliamento della pellicola. Anzi, per rimanere sulla metafora del volo, e per leggere il film così come il "flight" in questione, la pellicola dopo aver attraversato insidiose turbolenze ed averle superate con una manovra piena di maestria, cade in picchiata la' dove sembrava ormai essersi attestata a velocità di crociera. Zemeckis nel frattempo si fa un metaforico cicchetto insieme al nostro Denzel, e poi si addormenta convinto che il peggio sia passato. Ma la sua capacità reattiva non è paragonabile a quella del suo pilota e, svegliato a qualche sequenza dalla collisione, perde definitivamente il controllo schiantandosi su di un finale banalotto e politicamente corretto, corredato finanche dal galeotto modello che impartisce lezioni di vita ad un pubblico di detenuti in estasi e dall'apparizione scontata nell'ora d'aria del figlio ritrovato. Roba, quest'ultima, da spararsi in loop la sequenza finale di Blow per abbassare il livello di melassa nel sangue.

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