NESSUNO PUO' METTERE TIF IN UN ANGOLO! -IL LATO POSITIVO- SILVER LININGS PLAYBOOK


Una settimana dopo la cerimonia degli Oscar la caduta di Jennifer Lawrence sulle scale del Kodak Theatre, per chi solo ora ha potuto vedere il film che l'ha incoronata grande tra le grandi, acquista tutto un altro senso.

Quella giovane donna fasciata in un Dior da grand soirée ed acconciata con un impeccabile chignon alla Grace Kelly che si avvicina al palco commossa, sontuosa e compresa nella parte per ritirare il più grande riconoscimento che i suoi 23 anni abbiano mai visto, con quell'inciampo realizza la perfetta mimesi con la sua eroina. Oltre che guadagnarsi la simpatia di un'intera platea di donne comuni.
E' Tiffany che rovina per le scale, questa ragazza fragile e complicata, una donna annientata dal dolore che reagisce in modo grottesco al suo lutto. Al senso di colpa che porta con se' Tif risponde con una ninfomania fatta di uomini che si avvicendano alla sua porta pronti a fare il bis, ad un'assuefazione ai farmaci psicotropi da manuale, ed un abbigliamento total dark che più che lutto fa fetish. Altro che Dior.
Tiffany è drasticamente determinata a sguazzare in questa sua tragedia, a crogiolarsi con lucido cinismo nella sua condizione; la sua consapevolezza e la metabolizzazione del suo destino sono fin troppo piene ed analitiche, quasi iperrealiste.
Dice il saggio 'se non riesci ad uscire dal tunnel arredalo', e lei lo fa, ricostruendo il suo piccolo mondo in un capanno per gli attrezzi nel giardino dei suoi.
Suo naturale contr'altare é Pat, completamente assorbito dalla sua illusione e dalla sindrome di "Rebecca, la prima moglie" tanto da non riuscire a rapportarsi con il reale e con le sue evidenze, chiuso com'è nel suo guscio e nella sua tuta da jogging, protetto da una impenetrabile corazza fatta di sacchi della spazzatura.
Ed il gioco e' semplice. Basta creare un equilibrio tra queste due anime in bilico, lasciare che si scontrino, che si completino, che si bilancino, che arrivino ad un punto di rottura e che poi si ritrovino, risanati e pacificati. Anche quel goffo “dirty dancing” ingaggiato tra Tiffany e Pat nel finale e' null'altro che una replica della loro parabola relazionale: una surreale alchimia che nasce da una affinità terapeutico-farmaceutica che si dipana in un mondo sospeso iniziando con il peggiore degli auspici, procedendo incredibilmente liscia, fino ad un momento esilarante di rottura che li riporta alla propria inadeguatezza e che li conduce, finalmente liberi delle proprie sovrastrutture emotive, a riappropriarsi della propria vita. Quella vera.

Ma non é da tutti riuscire a rappresentare questo gioco reggendo il ritmo e senza inciampare costantemente nel cliché.
David O. Russell costruisce un'alchimia che perlopiù funziona: per quanto strampalato ed indotto possa essere, questo rapporto tra due emarginati alle prese con l'incapacità di relazionarsi con il resto del mondo regge, barcamenandosi tra dramma e commedia, con picchi di pregio e qualche perdonabile ingenuità, godibile anche quella.

Ed il clima di surrealtà in cui i due si muovono avvolge tutto e tutti, in una sospensione favolistica ed immaginifica che non ammette i ritmi convenzionali della quotidianità o dell'esplorazione urbana, perché tutto si svolge in un microcosmo ristretto,che si tratti di quello fisico dei pochi isolati che fanno da cornice alla vicenda, o di quello quello mentale, che qui si moltiplica in tante realtà personali e falsate: si va dal mondo idealizzato e un po' mitomane di Pat, a quello edonistico-autolesionista di Tif, da quello ossessivo compulsivo del padre di Pat, a quello assertivo e compiacente di sua madre.

Il Lato positivo atroce ri-titolazione, come nella peggiore tradizione della distribuzione all'italiana, del ben più evocativo Silver Linings Playbook, e' una commedia romantica di superficie, una screwball comedy solo all'apparenza, ma è in realtà un film amarissimo sotto mentite spoglie e con una gran quantità di letture possibili, una stratificazione tale di input e topic che magicamente si intrecciano e coesistono creando un perfetto equilibrio tragicomico.
Si va dalla malattia mentale vista pero' e finalmente senza il pietismo che di solito l'accompagna e quindi la sua "normalizzazione" ed il suo inserimento nel tessuto narrativo, allo studio antropologico della realtà piccolo borghese della provincia americana; dalla crisi economica con tutte le sue spicce conseguenze, al tema roosveltiano della rinascita, quel risveglio dei sensi e dei sentimenti che tanto e' caro a certo cinema molto americano. Ma a dispetto di tutti i pronostici c'é poco Frank Capra e molto più sarcasmo e lucida follia, uno sguardo impietoso su certe consuetudini, basti solo pensare alla tematica solo apparentemente di sfondo del grande bluff della famiglia perfetta american style che l'amico fraterno di Pat e sua moglie rappresentano. Il loro ménage fittizio e precostituito che non si risolve, ma rimane in odioso limbo di perbenismo e convenzione, e' metafora di una crisi ben più ampia che dilaga e mette in discussione il concetto intero di realizzazione dell'individuo che sta alla base della cultura USA. Ma questa è un'altra storia.

Un paio di iperboli retoriche ed una deriva sentimentale sul finale non riescono ad inficiare il valore della pellicola ne' tantomeno a rendere meno pregevoli le magistrali prove della Lawrence e di Bradley Cooper, quest'ultimo altrettanto meritevole del massimo riconoscimento dell'Academy, ma penalizzato dalla competizione impossibile con mister “tre nomination=tre Oscar vinti" alias Daniel Day Lewis.
E se Pat e' il protagonista designato, colui che per esigenze di scrittura e per fedeltà al racconto originale è al centro della vicenda è comunque Tif a rubare la scena, come su quel palco del Kodak Theatre, e a comandare il gioco. Perché nessuno può lasciare Tif in un angolo. Tantomeno a bocca asciutta e senza la magica statuetta a cui tutti ambiscono.
E Pat e David O. Russell si consolano scrivendo il loro lieto fine, con buona pace del povero Hemingway e dei tragici colpi ad effetto che sciupano il retorico, ma sempre rassicurante, happy end.

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