SMELLS LIKE LINDSAY LOHAN


Leggendo qua e là le critiche tiepide attorno a Bling Ring sembra evidente che sia sia creato un frainteso generalizzato, un increscioso equivoco, un'aspettativa inattesa fondata su di un preconcetto aprioristico e moralista. Si è pensato quindi, erroneamente, che un film che narri di vicende platealmente disdicevoli che coinvolgono ragazzini senza etica e senza scrupoli, debba necessariamente schierarsi e giudicare, fornire un messaggio, piazzare un poderoso sculaccione sui sederini taglia 38 di quel manipolo di adolescenti e di tutti i loro potenziali emuli.
L'esperimento di Sofia Coppola sembra però meno banale e più sottile di quanto non si dipinga.
Sin da subito Bling Ring dimostra in realtà un carattere cronicistico spiccio e genuino, senza voler raschiare la patina alla ricerca di una ragione, di un presunto dolore o di un atto che generi e giustifichi atteggiamenti amorali ed immorali. Non ha questo scopo, ne' questa pretesa. Si limita per vocazione e per scelta, ad illustrare una fatto di cronaca contemporaneo rimanendo quanto più aderente e pedissequo rispetto a questo, una funzione puramente didascalica quindi, come a corredo dell'articolo di Vanity Fair da cui prende le mosse. That's all folks.

Ma in questa scelta apparentemente asettica si intravede un risvolto metaforico ben più potente. Raccontare l'apatia attraverso l'apatia. Restituire una realtà anestetizzata grazie ad un racconto altrettanto anestetizzato, l'effimero al servizio dell'effimero. Rappresentare la superficialità ed il vuoto pneumatico diventa quindi ancora più efficace se fatto superficialmente.
Sofia Coppola non lascia spazio al moralismo o al giudizio, per quanto il disarmante carattere dei fatti indurrebbe facilmente ad una lettura sentenziosa e precettistica, e non cade quindi nel più classico dei tranelli da talk show, quel salire in cattedra stucchevole ed inflazionato che sembra ormai essere il pane quotidiano di ogni vacua società contemporanea.
Efficacissimo in questi termini Bling Ring destabilizza e spiazza, perchè appunto non psicanalizza la disarmante vacuità del nulla, ma la asseconda, raccontandone l'irresistibile scintillio.
Così come la piccola gang di ladruncoli d'alto bordo arraffa a piene mani e senza una vera scelta oggetti, non quindi memorabilia di fan in puro delirio, ma solo cose, neanche selezionate, nemmeno scelte, solo frammenti di vita altrui sottratti a caso e senza una vera ragione, così Sofia Coppola mantiene costante e senza picchi il racconto, senza porre il focus su nulla di particolare, ma proponendo un ventaglio di spunti di riflessione e di situazioni che non ha in realtà voglia di sondare e scandagliare: semplicemente osserva e restituisce.
La concessione ai suoi elementi chiave di riconoscimento e alla sua autorialità è invece nell'estetica del racconto, come sempre altamente raffinata e controllata. Ed è anche questo un ulteriore livello nell'adottare lo sguardo di superficie di cui sopra, regalando una patina ed un'allure glamour alla banalità del male.

Ma come spesso accade per le scelte programmatiche c'è una deroga, una faglia che si apre solo per fare intravedere l'anima dei protagonisti e del film, quel momento di empatia e verità fatidico in cui alla semplice noia che sembra animare le azioni delittuose del gruppetto di ragazzini si sovrappone un reale tentativo di emulazione, un anelito verso l'immedesimazione nella celebrità che si traveste da movente, e che diventa quindi l'unica vera dimostrazione di un sentimento, per quanto grottesco questo appaia. La tentazione di appropriarsi di qualcosa di così privato e peculiare come l'odore della starlette di turno, dell'icona negativa a cui si aspira, equivale a venire a contatto con la propria inadeguatezza e con i propri desideri, anche se distorti. Il vero scopo di questa manciata di adolescenti si rivela qui essere nulla più che guadagnare a lunghe falcate l'ingresso in tribunale, come Paris Hilton, come Lindsay Lohan, appropriandosi della loro gestualità, della loro capacità affabulatorie e persuasive davanti all'obiettivo indagatore di camere e fotocamere, e senza acquisire mai, neanche sulla soglia del carcere, una reale consapevolezza delle proprie azioni e del proprio destino .
E se non è vera critica sociale questa...

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